Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

Alle Olimpiadi del 1960 un pugile italiano di 22 anni vince la medaglia d’oro nella categoria dei pesi welter. Si chiamava Nino Benvenuti, leggenda della boxe mondiale, morto il 20 maggio del 2025 all’età di 87 anni. I funerali sono in programma nella giornata del 22 maggio alle ore 11.30 a Roma, presso la Chiesa degli Artisti in Piazza del Popolo, officiati dal vescovo Antonio Staglianò.

 

Un cuore a forma di medaglia

La vittoria olimpica è stata la più importante della lunga carriera di Benvenuti. “Per questo – ha sottolineato il leggendario campione nel libro ‘Giochi di Pace’ con prefazione di Papa Francesco – dico sempre che il mio cuore sportivo è a forma di medaglia d’oro olimpica”. “A Roma – si legge ancora nel volume edito dalla Libreria Editrice Vaticana – ho combattuto con la fede nuziale di mia mamma, già morta da quattro anni, legata ai lacci delle scarpette”. Sul ring – come si ricorda inoltre in un articolo del quotidiano ‘Repubblica’ – Benvenuti ha portato anche l’anello nuziale di sua moglie Dora, morta prematuramente, inserendola tra i lacci della scarpa sinistra”.

 

Un figlio dell’Isola “che non c’è”

Nato nel 1938 a Isola d’Istria, nell’allora provincia italiana di Pola, oggi parte del territorio della Slovenia, Nino Benvenuti ha ereditato dal padre l’amore per la boxe. È stato testimone di un drammatico capitolo della storia che ha avvolto e travolto anche la sua famiglia. Nel libro “L’isola che non c’è. Il mio esodo dall’Istria” (Libreria Sportiva Eraclea) ha ripercorso, prima di soffermarsi sul giorno della conquista dell’oro olimpico, la sua infanzia segnata da grandi dolori, ricordando in particolare il fratello Eliano, scampato alle foibe. “Mi sono formato a Isola, da ragazzino ho vissuto momenti terribili come quelli legati alla fine della guerra: diventare stranieri a casa propria: non siete graditi, andatevene. Mio fratello deportato, dato per morto, resuscitò dopo 7 mesi. Mia madre morì a 46 anni per il grande dolore”.

 

Un uomo allenato a superare i momenti duri

Nei suoi occhi e nel suo cuore ha custodito il dolore di un popolo e quello della sua famiglia. Nino Benvenuti ha più volte ricordato tra gli altri, con profondo affetto e ammirazione, don Francesco Bonifacio, ucciso in una foiba nell’estate del 1946, e mon­signor Antonio Santin, vescovo di Trie­ste e Capodistria, accusato dalla polizia politica “Ozna” di essere un nemico della nazione jugoslava. Ha vissuto sulla sua pelle pagine dolorose, come la morte della madre e la deportazione del fratello, che non si sono però mai tramutate in disperata rassegnazione. “Queste grandi sofferenze tenute dentro – ha scritto Benvenuti nel libro “L’isola che non c’è” – hanno modificato il mio carattere e la mia crescita. È stato un allenamento a superare i momenti duri e difficili. Mi sono fortificato, ho imparato a superare tutto”. 

 

Saper perdere

Nella storia di un campione ci sono anche le sconfitte. Il 7 novembre del 1970 Nino Benvenuti ha perso, per ‘ko tecnico’, la finale di pugilato per pesi medi contro l’argentino Carlos Monzon. Nell’intervista rilasciata a Vatican News a Giancarlo La Vella, sottolineava che alcune sconfitte lasciano “un segno positivo”.

Benvenuti: anche le sconfitte lasciano segni positivi

Parlare di Monzon significa parlare di una cosa successa che non si è potuto evitare. Mi ha battuto ma non è stata una sconfitta come le altre: è stata una sconfitta che lascia un segno positivo. Non la considero come una cosa negativa. È stata una sconfitta, ma non potevo fare niente di più. Ho combattuto contro Monzon e sono fiero di quella sfida sportiva. Carlos Monzon era un pugile fuori dalla norma: sul ring sapeva quello che doveva fare e lo faceva nel modo migliore. Io ho fatto quello che ho potuto con le mie forze ma non c’era niente da fare. Era più forte.

 

Un campione di solidarietà

Nino Benvenuti è stato anche un campione di solidarietà. Tra le iniziative di cui è stato protagonista in questo senso, una pagina significativa è quella scritta nel 2010, quando è tornato sul ring per l’evento “Magic Round” con uno dei suoi storici avversari, Emile Griffith. All’epoca il pugile americano, morto nel 2013, era malato di Alzheimer. L’obiettivo di quel particolare ritorno su un ring non era vincere ma raccogliere dei fondi in modo da offrire a Griffith un futuro dignitoso e garantirgli le cure mediche necessarie. In una intervista concessa alla Radio Vaticana a Lucas Duran, Nino Benvenuti ricordava con queste parole l’amico Emile:

Benvenuti: il pugilato è uno sport che chiede tutto

Quell’uomo aveva due spalle enormi come un armadio… e quando l’ho rivisto non erano più tali! Però, i suoi occhi erano sempre quelli, vivaci e attenti … come lo avevo conosciuto io, due occhi che ti mettevano veramente paura… Il pugilato è uno sport che chiede tutto all’atleta: Quando mi chiedevano quanto mi allenassi, rispondevo: “24 ore!”, perché la giornata dev’essere totalmente a disposizione di quello che stai facendo, per quello che stai preparando. Lo sport del pugilato è uno sport pericoloso, è uno sport difficile per il quale bisogna essere sempre nelle migliori condizioni. Il pugilato è anche uno sport che ti mette nella condizione di finire una carriera e trovarti nella situazione di non avere denaro. Perché? Perché strada facendo non hai pensato che il tuo sport sarebbe potuto finire e che qualcuno ha provveduto a prosciugare il tuo conto.

 

Conquistare titoli, incontrare uomini

Strada facendo, anche quando si presentano ostacoli accresciuti dalla malattia e da fragilità, si possono incontrare uomini dal cuore d’oro come Nino Benvenuti. Nello sport, come nella vita, è sempre quella dell’umanità la medaglia più importante. “Il campione – come ha detto proprio Benvenuti in una intervista rilasciata all’emittente Rsi nel 2017 – non si distingue per i titoli che ha conquistato, ma per gli uomini che ha incontrato”. Nella vita Nino Benvenuti non ha mai gettato la spugna e a sempre inseguito con tenacia i suoi sogni: “A volte un vincitore – come diceva Nelson Mandela – è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato”. 

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